Comunicazione fa rima con relazione

Nella nostra vita noi esseri umani costruiamo relazioni e lo facciamo tramite la comunicazione. I rapporti che abbiamo in famiglia, a scuola, sul lavoro e in generale in società, sono regolati dal nostro modo di comunicare e metterci in relazione con gli altri.
Per questo motivo attorno alla comunicazione e alle sue dinamiche si sono sviluppate intere discipline, fino alla nascita di corsi di studi universitari dedicati allo studio approfondito della materia. Chi decide di specializzarsi in comunicazione viene a contatto con tutte le altre discipline che la studiano dal loro peculiare punto di vista: sociologia, marketing, linguistica e anche counselling.
In questo ambito un contributo molto importante lo diede Paul Watzlawick, esperto e studioso di comunicazione. Insieme ad altri studiosi fu il fondatore della scuola di Palo Alto, un insieme di studiosi di diverse discipline che svilupparono con diversi contributi il modello sistemico, tra i tanti riferimenti teorici del counselling. Watzlawick teorizzò quelli che conosciamo come i 5 assiomi della comunicazione, cioè dei principi che regolano il nostro modo di comunicare e di conseguenza ci fanno comprendere come questo può essere percepito.
Vediamo nel dettaglio gli assiomi e perché sono importanti per il counselling e la mediazione familiare.

 

Non si può non comunicare

Il primo assioma della comunicazione ci dice che ogni comportamento che noi abbiamo comunica qualcosa all’esterno. La comunicazione, infatti, comprende quello che diciamo e come, ma anche i silenzi, gli sguardi, i gesti che facciamo. Rispondere a una domanda con un silenzio è, per l’appunto, una risposta. Esprime incertezza, imbarazzo, impreparazione, indifferenza o addirittura disprezzo. Senza dire niente, paradossalmente carichiamo il messaggio di più significati. Ogni nostro comportamento è infatti un messaggio che, se non esplicitato con parole chiare, potrebbe essere anche frainteso, perché ognuno di noi ha una percezione soggettiva.
Il messaggio sta in ogni nostro comportamento, non solo nelle parole che diciamo.
Se abbiamo un appuntamento e non ci presentiamo, il segnale che arriva a chi ci attende è negativo: non ci vogliamo andare, non lo reputiamo importante, non pensiamo ne valga la pena.
Insomma, è impossibile non comunicare.
Counselor e mediatori familiari conoscono bene questo principio e sanno “leggere” la comunicazione dei clienti per poter raccogliere dati utili a costruire una relazione di aiuto. Al contempo guidano il cliente alla consapevolezza dei propri gesti, parole e silenzi, perché da solo sia in grado di saper comunicare nel migliore dei modi.

 

Nella comunicazione ci sono due livelli: uno di contenuto e uno di relazione

Il secondo assioma della comunicazione distingue due livelli nella comunicazione:

  • il contenuto, cioè cosa diciamo,
  • la relazione, cioè come lo diciamo.

È indubbio che lo stesso concetto espresso con modalità diverse, infatti, susciti reazioni e percezioni differenti.
Quante volte ci è capitato di intavolare discussioni per una frase o una parola apparentemente innocua, ma detta con un tono sgradevole, aggressivo, noncurante? Magari una richiesta da parte del partner o di un collega di lavoro fatte in maniera brusca, che ci arrivano come un ordine, un’imposizione o comunque in modo poco delicato. Inoltre, anche in base alla relazione che abbiamo con una persona, siamo in grado di decifrarne i toni e accoglierne in maniera diversa il messaggio.
Ecco perché per counselor e mediatori familiari è importantissimo concentrarsi sui modi della comunicazione. Un counselor e mediatore fa attenzione al come, perché vuole costruire una buona relazione con il cliente, lo vuole aiutare e per farlo pone dei presupposti positivi a partire dalla comunicazione. Di conseguenza guida il cliente a una comunicazione che oltre al contenuto, ha anche una forma funzionale alla crescita delle sue relazioni con gli altri.

 

La punteggiatura della comunicazione determina la relazione

Nel terzo assioma della comunicazione si parla di punteggiatura, che scandisce la sequenza della comunicazione. Se per esempio noi non parliamo con il partner perché è scontroso, il partner potrà dire che è scontroso perché noi non gli/le parliamo. Questo evidenzia che c’è un’influenza reciproca nei nostri comportamenti e nella nostra comunicazione. Secondo questi principi non c’è un interlocutore attivo e uno passivo, ma la comunicazione è circolare, cioè ci influenziamo a vicenda.
Nella relazione di aiuto il counselor e mediatore familiare è in grado di portare il cliente alla comprensione di questa circolarità, rendendolo consapevole e predisponendolo a porsi nella comunicazione con l’altro in quest’ottica.

 

La comunicazione è analogica e digitale

Il quarto assioma della comunicazione ci dice che noi esseri umani comunichiamo

  • in modo analogico, cioè basato sull’analogia tra la comunicazione e il soggetto della comunicazione. Parliamo quindi di immagini e anche di comunicazione non verbale. Per esempio, se ci voltiamo dall’altra parte o stringiamo spalle e braccia, stiamo indicando chiusura. Al contrario, le braccia tese verso l’altro sono immediatamente percepite come apertura e accoglienza.
  • in modo digitale, cioè tramite le parole, i numeri, tutto ciò che è un codice di segni che designano qualcosa.

Vediamo quindi con chiarezza che la nostra comunicazione è fatta di parole, certo, ma anche di gesti, atteggiamenti e immagini che evochiamo negli altri. La comunicazione non verbale e paraverbale sono utili a counselor e mediatori familiari per comprendere il cliente. Spesso capita che all’inizio dell’incontro il cliente sia più teso, chiuso, meno propenso ad aprirsi sia verbalmente che nei gesti, per finire il colloquio più disteso e in grado di portare nella conversazione elementi utili al percorso che sta facendo. Questo accade grazie alle tecniche che il professionista della relazione di aiuto sa mettere in atto, per mettere a proprio agio il cliente nel suo interesse, cioè quello di comunicare più liberamente possibile per raggiungere il proprio obiettivo che si è dato assieme al counselor.

 

Le interazioni simmetriche e quelle complementari

 Il quinto assioma della comunicazione, l’ultimo della lista di Watzlawick, ci dice che la comunicazione può avvenire su due piani:

  • simmetrico, quando la relazione tra gli interlocutori è paritaria, cioè nessuno è in posizione dominante o di superiorità. Normalmente questo è il tipo di relazione tra fratelli, amici, partner o colleghi. Nessuno vuole prevalere sugli altri, quindi la comunicazione non è atta a sopraffare e, viceversa, a subire.
  • complementare, quando uno degli interlocutori è in posizione superiore e l’altro in posizione subordinata. È il genere di relazione che si instaura tra capo e dipendenti o tra madre e figli. È possibile affermarsi come superiori a patto che ci sia la controparte che lo permetta e sia quindi in posizione di inferiorità, perciò pronta ad ascoltare consigli o anche critiche.

Questi due piani di comunicazione si sviluppano in base a come due persone decidono di entrare in relazione. La proposta di relazione non è esplicita, ma implicita nel modo in cui una persona la fa all’altra.
Nel caso della comunicazione simmetrica, una persona si pone verso l’altra con un atteggiamento che sottende parità, secondo un meccanismo di imitazione.
Al contrario, in quella complementare, una persona si pone verso l’altra secondo un meccanismo di differenza, che quindi presuppone comportamenti diversi e subalterni.
Counselor e mediatori familiari sono d’aiuto nel ristabilire un buon livello di comunicazione anche in casi in cui si verifichi questo sbilanciamento. Proprio perché esperti di comunicazione e di costruzione di relazioni con i clienti, conoscono le giuste tecniche per guidare il cliente alla cura della propria comunicazione e, di conseguenza, delle proprie relazioni.

 

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