Perché dovremmo emozionarci di più (e farci caso)

Riuscire a definire cosa siano esattamente le emozioni è impresa complessa. Nel tempo sono state classificate come risposte comportamentali, altre come risposte fisiologiche, altre ancora come risposte espressivo-motorie, infine come risposte a sensazioni. E se fossero l’insieme di tutto questo? 
Oggi si tende a definire le emozioni come un processo più che uno stato. Un processo fatto da diversi componenti, che ha dei confini temporali limitati e definiti e risponde a diverse esigenze. Si distinguono quindi dall’umore e dalla emotività, che sono rispettivamente uno stato con durata più lunga nel tempo e un tratto di personalità più o meno stabile. 
Oltre le definizioni, ciò che ci dovrebbe interessare tutti è imparare a dare un nome alle emozioni e riconoscerle. Il counselling e la mediazione familiare danno largo spazio alla sfera emozionale, perché la ritengono una parte di noi fondamentale. Counselor e mediatori incentivano i clienti a riconoscersi tramite le emozioni che provano, a dar loro un nome, sentirsi liberi di viverle e farne tesoro. 
Il dibattito continua a essere aperto, possiamo però dire che c’è una classificazione delle emozioni che possiamo ritenere indicativa, perché accomuna tutti gli esseri umani. Parliamo delle emozioni primarie. .

 

Tutti siamo in grado di provarle: le emozioni primarie

Paul Ekman, psicologo statunitense, ha condotto degli studi che sono arrivati a classificare le emozioni provate da tutti gli esseri umani del mondo, senza distinzione di cultura, stato sociale, civilizzazione, religione o qualsiasi altro elemento. Oltre la classificazione in sé, il dato importante che emerge è che sono innate in ognuno di noi e non frutto di convenzioni sociali o altre sovrastrutture. 
Le emozioni primarie sono 6:

  • Rabbia: quando la frustrazione per qualcosa si trasforma in aggressività;
  • Paura: risponde all’istinto di salvarci in una situazione di pericolo;
  • Disgusto: quando proviamo repulsione verso qualcosa o qualcuno;
  • Sorpresa: quando accade un evento inaspettato, a cui segue felicità o paura;
  • Felicità: quando siamo soddisfatti per aver realizzato i nostri desideri;
  • Tristezza: a seguito di una perdita o di un obiettivo non raggiunto.

Tutte le altre sono dettate da educazione e struttura sociale nella quale viviamo. Per questo, in alcune zone del mondo, esistono delle emozioni che altrove non sono classificate come tali e non considerate rilevanti. Sono legate al costrutto sociale di un determinato luogo, alla sua cultura. Questo è un ulteriore fattore che rende difficile definire con esattezza cosa siano le emozioni e soprattutto quali siano.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché proviamo emozioni? A cosa ci servono?

Il filtro per capire le nostre priorità

Abbiamo capito che le emozioni sono innate, almeno una parte di esse. Ciò vuol dire che è quasi automatico provarle, ma è bene sottolineare che provare rabbia, felicità, tristezza, ecc. ci costa energia. Ma allora, perché proviamo emozioni che sono così costose per il nostro organismo? 
Al di là delle diverse interpretazioni, il dato oggettivo esiste e dipende dalla struttura del nostro cervello. Qualsiasi stimolo che riceviamo dall’esterno, viene recepito per prima cosa dal cosiddetto cervello rettiliano. È la zona più profonda del nostro cervello, e raccoglie le sensazioni per attivare delle reazioni fisiologiche. Per esempio, se sentiamo freddo il nostro organismo comincia a pompare più sangue per aumentare la pressione. Non ha a che fare quindi con un’elaborazione, ma con un meccanismo fisiologico di domanda - risposta. 
Rapidissimamente, ciò che passa dal cervello rettiliano è trasmesso alla zona di mezzo del nostro cervello, quella che ci restituisce ciò che noi chiamiamo emozione. È opportuno ricordare che emozione deriva dall’etimologia latina e-movère, che letteralmente significa portare al di fuori. Ci suggerisce quindi che è una tendenza all’azione, una reazione a un impulso esterno. Se ci troviamo in un bosco e sentiamo dei rumori tra i cespugli, probabilmente proveremo paura e avremo una reazione di allontanamento per salvarci. In quel momento non siamo comunque in grado di capire il motivo di quella emozione e, di conseguenza, dell’azione che ci provoca. Le persone intorno a noi sono in grado di capire subito la nostra reazione, vedendoci, ma perché noi la comprendiamo è necessario un altro passaggio. 
Il processo di elaborazione avviene quando le informazioni passano alla nostra corteccia cerebrale. Questa è la fase in cui da emozione passiamo a sentimento, in cui la corteccia ci mette in grado di comprendere il contenuto dell’emozione provata. Capire la reazione allo stimolo significa mettere a fuoco il bisogno a cui rispondiamo. Per questo è il momento che ci serve per capire di più di noi stessi, per soffermarci e chiederci come ci siamo sentiti, che sensazione ed emozione abbiamo provato come risposta a un determinato evento. Questo e solo questo è il modo per comprendere cosa è importante per noi, il nostro personale filtro che ci restituisce le nostre vere priorità. 
Per questa ragione questo è il livello su cui lavorano il counselling e la mediazione familiare: l’obiettivo è renderci consapevoli delle nostre emozioni come mezzo per conoscerci meglio. Conoscendo le nostre emozioni possiamo arricchire la nostra esperienza e avere una maggiore conoscenza dei nostri meccanismi interni, di chi siamo veramente.

 

L’intelligenza emotiva come arma di consapevolezza

Non siamo sempre incoraggiati a fermarci per sentire cosa ci dicono le nostre emozioni. Proprio perché prenderci tempo per ascoltarci non è cosa da poco, dovremmo chiederci più spesso come ci sentiamo. Ogni emozione ha una sua funzione adattiva, cioè ci serve per l’adattamento al contesto e alle situazioni che viviamo. Non si tratta quindi di una parte effimera di noi, ma di una sfera che ci ha permesso di evolverci e far sopravvivere la specie. 
Avere consapevolezza delle nostre emozioni significa saperci comportare nella società in cui viviamo, conoscere i nostri limiti e i nostri punti di forza, per affrontare al meglio la complessità che ci circonda, guidati dalla nostra intelligenza emotiva. 

Raggiungere i nostri obiettivi grazie alle emozioni

Secondo Daniel Goleman, l’intelligenza emotiva è “… la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e sperare.”.

L’intelligenza emotiva è un insieme di 5 competenze fondamentali:

  • Consapevolezza: quando siamo capaci di riconoscere un sentimento. È un’attenzione alla propria esperienza che ci permette di gestire meglio le situazioni della vita.
  • Autocontrollo: quando controlliamo i nostri sentimenti positivi o negativi, in modo che siano in equilibrio tra loro e appropriati alla situazione.
  • Motivazione: quando sappiamo gestire le nostre emozione al fine di raggiungere un obiettivo per noi importante.
  • Abilità sociali: quando riusciamo a comprendere le dinamiche che legano le persone che ci stanno intorno, grazie ad altre due competenze come empatia e autocontrollo.
  • Empatia: quando siamo in grado di leggere le nostre emozioni e, di conseguenza, quelle degli altri. In questo modo siamo in grado di stabilire un contatto più profondo con chi ci sta intorno e relazioni migliori.

Coltivare tutte queste competenze è ciò che ci farà entrare in contatto con noi stessi, capire i nostri reali bisogni, capire le relazioni che ci circondano e per questo, essere capaci di raggiungere i nostri obiettivi. 
Il counselling e la mediazione familiare puntano a incentivare lo sviluppo di queste competenze nei clienti. Attraverso queste i clienti sono in grado di trovare le risorse necessarie per affrontare i problemi e le complessità. La consapevolezza di se stessi e dei legami con gli altri si rivela quindi una chiave importantissima per il raggiungimento dei propri obiettivi.

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