Un detto molto conosciuto recita “in amore vince chi fugge”. Queste poche parole che tutti avremo sentito almeno una volta nella vita, racchiudono un significato più articolato.
Come se l'amore fosse una continua rincorsa, avrebbe la meglio chi si fa desiderare, chi è sfuggente e indecifrabile e - quindi - si avvolge di un'aura di mistero. Di certo questo è intrigante, noi esseri umani siamo portati ad appassionarci a qualcosa che ci sembra al di fuori della nostra portata, quasi a spingere il limite un po' più in là e dimostrare a noi stessi di essere all'altezza.
E se proiettassimo questo tipo di comportamento in una relazione più stabile e duratura? L'effetto sarebbe ben diverso. Stare con un partner che sfugge, che non comunica e non dialoga, può essere sfibrante. Per funzionare, una relazione dovrebbe riuscire a mantenere i partner in connessione attraverso le varie fasi della vita. Chiudersi al dialogo non è un buon metodo, cercare un confronto e uno scambio continuo è ciò che può garantire una crescita insieme.

Perché manca il dialogo nella coppia?

Per i motivi più disparati capita che le coppie smettano di comunicare su temi quotidiani, come su quelli più esistenziali. Si innescano delle routine che assottigliano pian piano il livello di confronto. I partner inseriscono il pilota automatico e smettono di nutrire i piccoli momenti di felicità e di scambio, vitali per l’evoluzione della coppia.
Sì, perché una coppia si evolve in base a come si evolvono i suoi componenti. Un po’ come ci insegna il modello sistemico, tra quelli su cui si fonda il nostro lavoro di counsellor e mediatori familiari, e che insegniamo anche nei nostri corsi.
Tutti noi, nel corso della vita, cambiamo punto di vista e atteggiamento su tanti temi. È fisiologico e normale, perciò l'elemento che può farci impensierire non è questo. Il campanello dovrebbe suonare quando questi cambiamenti non arricchiscono il fluire della vita di coppia, ma arrivano a rompere degli equilibri.

Gestire il cambiamento. Insieme.

Il cambiamento può avvenire per avvenimenti spiacevoli o tragici, come un licenziamento improvviso, la perdita di un familiare o di una persona cara, motivi di salute. Questi e altri motivi possono generare paura, sconforto, frustrazione. E tali sentimenti ed emozioni non sono sempre facili da esternare, anzi. Innanzitutto dobbiamo saperli riconoscere, leggere le nostre emozioni e dar loro una dimensione. Senza questo passaggio sarà molto difficile riuscire a elaborarle e condividerle con il partner.
Il nostro atteggiamento può cambiare anche per motivi molto meno gravi. Dallo stress lavorativo, alla preoccupazione per un figlio, tante questioni quotidiane possono incidere sul nostro stato d’animo, farci sentire a disagio. Talvolta può anche non esserci un motivo esterno, ma che viene da dentro: una volontà di rinnovamento data dalle diverse esigenze che si hanno nelle differenti fasi della vita.
Saper dare un nome alla propria esigenza è un compito individuale, così come riuscire a condividerla. Con questi presupposti, affrontare le piccole e grandi sfide quotidiane insieme può essere molto più semplice.


Parola d’ordine: comunicazione

Facciamoci caso: le liti e l’allontanamento dal partner avvengono perché non siamo in grado di comunicare in modo efficace. Non esternare cosa sentiamo, cosa vorremmo per stare meglio, cosa ci manca è - di fatto - mettere un muro che ci separa da chi amiamo. La paura di non venire capiti e che le nostre esigenze non siano accolte, ci fa chiudere in un silenzio o, peggio, in una comunicazione nervosa e ben poco positiva. Possiamo quindi dire che magari lo scambio c’è, ma passa su binari fatti di incomprensioni. E genera ulteriore frustrazione, come è normale che sia.
Ancora una volta torna il tema dell’assertività: diventa importante non solo aprirci al dialogo sui nostri bisogni, ma anche farlo nel modo giusto. Proviamo a fermarci, chiederci cosa ci serve per stare meglio e dargli un nome. Sforziamoci di lasciare da parte l'imbarazzo o la rabbia e proviamo a chiedere cosa vorremmo dalla nostra metà. Proviamo anche a ragionare su cosa possiamo fare noi per andare incontro al partner e a una sua mutata esigenza, perché anche questo non è trascurabile.
Questo processo all'inizio può sembrare faticoso, ma riuscire a farlo anche solo una volta ci farà rendere conto del beneficio che ne trarrà la coppia. E diventerà molto più semplice farlo sempre.


Il counselling e la coppia

Il counselling viene considerato spesso come un percorso individuale o, in alcuni casi, di gruppo. Più raramente viene associato alla coppia, ma in realtà è ciò su cui noi di Mediare siamo specializzati con ottimi risultati. Ciò significa che il processo di counselling usato coi singoli, può essere adeguatamente inserito anche in un contesto di coppia. Il perché è semplice: la cosa importante è il processo che il counsellor mette in atto.
L’obiettivo di un percorso per partner, come il counselling di coppia, è proprio quello di ristabilire una connessione tra due persone che si vogliono bene ma non sono capaci di far funzionare al meglio la propria relazione.
Non tutte le coppie riescono a rimettersi in comunicazione empatica se si sono raffreddate o se litigano spesso. Non tutti i partner sono in grado di soffermarsi sui bisogni di ognuno e di come conciliarli con il bisogno della coppia nella sua interezza. Un counsellor conosce le tecniche per far sentire i membri di una coppia accolti e non giudicati ed è in grado di condurre i partner su un terreno comune, quando si parla della relazione. Sa come portarli a condividere, aprirsi, riconoscersi e, finalmente, comunicare. Perché sì, in amore vince chi parla.

Abbiamo già parlato degli stili di attaccamento sul nostro blog.
L’argomento suscita interesse e questo si è rivolto soprattutto verso lo stile cosiddetto insicuro-evitante; in particolare ci è stata rivolta spesso la domanda di oggi e l’abbiamo girata al nostro direttore scientifico.

Per prima cosa, che vuol dire partner evitante? Come riconoscerlo?
L’espressione è certo equivoca: può alludere allo stile di attaccamento ma anche ad altri fenomeni.
Ad esempio può accadere che venga attribuita al partner una postura evitante quando la relazione d’amore si sta esaurendo e i due sono sempre più distanti; esistono rimedi, ma non riguardano l’attaccamento.
Poi si parla di evitamento anche per descrivere una caratteristica di personalità, che può arrivare fino ad essere un vero e proprio disturbo mentale.


Come si distingue la personalità evitante dallo stile di attaccamento evitante?
La personalità si esprime in ogni circostanza, in ogni contesto e con qualsiasi persona. Si tratta anzitutto di quei soggetti che dichiaratamente hanno timore nell’allacciare relazioni sociali, tendono a rimanere in silenzio e sullo sfondo, si sentono insicuri, sono certi di fare brutte figure e si aspettano dagli altri critiche e rifiuti. Esistono anche soggetti che vivono isolati dal mondo, quasi senza vita sociale, non esprimono timori né desideri, perché sono soddisfatti della vita che fanno anche se è emotivamente molto povera.
In tutti questi soggetti l’evitamento è rivolto non solo verso l’esterno ma anche verso loro stessi: evitano accuratamente le loro emozioni, non le sanno o non le vogliono esprimere e difficile è anche la loro attività riflessiva.

E invece cosa viene mostrato nello stile dell’attaccamento?
Debbo ripartire dal concetto di attaccamento: il bambino, al settimo mese, riesce a distinguere le persone e perciò individua quelle che si prendono cura di lui; l’utilità delle cure li spinge ad allacciare con loro una relazione particolare, nel senso che non possono non attaccarsi. Per poter ottenere il risultato il bambino, via via nel crescere sperimenta i suoi comportamenti e seleziona quelli che danno il miglior risultato. Si formano in questo modo giudizi che si riflettono in emozioni, pensieri e comportamenti: questo insieme tende a rimanere stabile ed è lo stile di attaccamento.
Da adulti si tende a conservare lo stesso stile appreso nell’infanzia: si usa lo stile come metodo ritenuto utile per costruire le relazioni caratterizzate dalla presenza dell’intimità e della cura e soprattutto le relazioni d’amore.

E lo stile evitante che caratteristiche attribuisce?
Una caratteristica è nel fatto che l’intimità e l’aiuto sono a senso unico: la persona è accogliente e recettiva rispetto ai bisogni del partner, ma esprime poco i suoi, difficilmente chiede aiuto e tende a nascondere le proprie emozioni. In altre parole lo stile di attaccamento evitante si manifesta solo nelle relazioni significative che risultano in qualche modo non paritetiche, quasi squilibrate, per il fatto che queste persone sanno dare ma non sanno chiedere.
E poi c’è una caratteristica molto significativa: quando parlano della loro infanzia ne ricordano solo gli aspetti positivi, come se avessero cancellato il ricordo delle sofferenze.


Sembra di capire che questo stile è una caratteristica molto maschile.
Questa affermazione era vera tempo fa, perché lo stile evitante era una conseguenza dell’educazione che un tempo veniva dato ai maschietti: l’uomo non deve piangere, deve imparare a fare da sé e così via.
Oggi lo stile è un po’ meno frequente nei maschi e comincia ad apparire anche nelle donne, forse a causa della rivendicazione dell’autonomia da parte loro.

Lo stile si forma dunque nell’infanzia; ma c’è speranza di cambiarlo?
Questa non è una speranza ma una certezza: è possibile modificare gli schemi infantili e imparare ad usare lo stile sicuro.
La difficoltà è nel fatto che gli schemi infantili agiscono senza che il soggetto se ne renda conto, come accade per le abitudini. Le strade sono diverse: può essere utile una buona psicoterapia, è utile senza dubbio la formazione nel counseling perché questo si basa proprio sulla natura sicura dell’attaccamento. Ma anche la relazione d’amore può essere un fattore di cambiamenti.

E allora, in una relazione d’amore cosa può fare il partner per migliorare la relazione con un partner?
La prima cosa che può fare è capire che l’innamoramento reciproco può essere spiegato come un effetto della compatibilità reciproca: ciascuno viene scelto dall’altro in maniera inconsapevole proprio in relazione a certe caratteristiche della personalità, quelle espresse attraverso i comportamenti. Capito questo, occorre riflettere sulle proprie caratteristiche e individuare i comportamenti che involontariamente sostengono e giustificano l’attaccamento evitante del partner.
Posso fare solo degli esempi: può trattarsi della scarsa manifestazione di interesse a conoscere i bisogni dell’altro, oppure del richiedere troppo spesso per sé, di appoggiarsi troppo, e così via.
E poi non resta che modificare i comportamenti, che spesso sono espressione di uno stile altrettanto insicuro, uguale oppure opposto a quello del partner.

Ma in concreto cosa fare?
Per modificare lo stile di attaccamento evitante del partner occorre curare tre punti.
Il primo è l’aspettativa che il partner ha della relazione: quando ci aspettiamo una relazione positiva e sicura siamo più disposti a collaborare.
Il secondo punto è la creazione frequente di momenti emotivamente significativi, intensi e condivisi dai quali il partner può ricavare un piacere forte, magari inaspettato.
Il terzo punto è assumersi per intero la responsabilità della relazione, curandone costantemente la qualità. Più ciò sarà fatto e più l’aspettativa del partner sarà positiva: la maggiore sicurezza della relazione orienterà il partner in direzione di un attaccamento sicuro.

Come può essere utile il counselling?
L’utilità è doppia.
Per il partner evitante è utile non solo una psicoterapia, ma anche una relazione con un counsellor esperto: imparerà a trovare i suoi problemi e scoprirà il modo di risolverli.
Ancora più utile è la formazione in counselling: questa contiene anche l’addestramento ad avere uno stile sicuro di attaccamento indispensabile per essere utile ai clienti.
Sarà certo difficile ottenere che il partner si attivi: non sarà cattiva volontà ma solo il fatto che il suo modo di costruire relazioni è l’unico che conosce e non immagina neanche di poterlo cambiare.
Molto più utile è che l’iniziativa sia presa dall’altro: la formazione in counselling è diretta ad imparare come poter essere d’aiuto agli altri. E poi la formazione permette a ciascuno di scoprire cosa è la felicità per lui e come realizzarla: l’addestramento trasforma lo stile di attaccamento in quello sicuro; per effetto di questo cambiamento anche il partner sarà costretto a cambiare qualcosa.

Nuova chiacchierata con una nostra tutor, che prima è stata nostra allieva. Ci piace raccontarci attraverso gli occhi dei nostri allievi ed ex allievi, che meglio di chiunque possono esprimere cosa sia un percorso di formazione insieme a noi di Mediare.
Lasciamo subito al parola alla nostra Claudia, che ringraziamo tanto per averci regalato questo bel racconto.


Ciao Claudia, grazie di essere qui con noi a raccontarci la tua esperienza. Partiamo con le domande.
Ci racconti perché hai deciso di frequentare il Master in counselling e mediazione familiare di Mediare?

Quando cominciai il corso con Mediare avevo già intrapreso una formazione in counselling altrove. I motivi che mi spinsero verso quel percorso erano più che altro professionali. In questo corso precedente, alcune lezioni erano tenute da Franco (Pastore, fondatore di Mediare, ndr) e rimasi molto colpita dal suo modo di lavorare. Ci mostrò il processo che mette in atto nella relazione di aiuto alla coppia, "usando" due colleghi del corso che si erano volontariamente prestati.
A quel punto, per motivi strettamente personali, gli chiesi se avessi potuto cominciare delle sedute con lui per dei problemi di relazione che avevo. I problemi non erano legati a un caso o una persona specifica, ma proprio a me, perciò lui mi ha consigliato di frequentare il Master in counselling e mediazione familiare. Accettai il suo consiglio e poi ho capito perché me lo avesse dato: pur avendo alle spalle psicoterapia e una formazione in counselling, ciò che mi ha dato questo Master non l’avevo mai trovato altrove.
Ho lavorato su degli aspetti di me che mi limitavano e ho imparato a gestirli. Sia a livello personale che professionale, non solo con la coppia ma con tutti i tipi di relazione, gli strumenti acquisiti con Mediare mi servono come chiave di lettura. Sono trasversali e si rivelano efficaci sempre. Mi aiutano a comprendere le relazioni e le dinamiche su cui poggiano, a capire quali bisogni abbiamo e lasciamo insoddisfatti.

 

Quali sono le cose che più ti porti dietro di questa esperienza?

Una grande ricchezza. Da quando ho fatto il Master posso dire di aver trovato la felicità. Pensa che il mio entusiasmo era così contagioso quando frequentavo, che delle persone a me vicine si sono iscritte negli anni seguenti, molto colpite dalla mia reazione. Anche loro, una volta cominciato il corso, sono state entusiaste di ciò che hanno trovato.
Ho acquisito talmente tanta conoscenza e consapevolezza di me stessa, che poi ho capito che la vera felicità sta proprio in questo. Al netto dei problemi che, come tutti, ho anche io, ho raggiunto una stabilità, una sicurezza, una conoscenza grazie al fatto che oggi so come far funzionare le relazioni. Ti faccio un esempio pratico: con il padre di mia figlia siamo separati da un po', ma adesso siamo riusciti a costruire un rapporto idilliaco da separati, per il bene di entrambi e della nostra bambina. Le ostilità le abbiamo superate anche grazie alla stabilità interiore data dalla crescita fatta con il Master.
Più in generale, oggi sono in grado di affrontare anche le giornate più storte con la consapevolezza che riuscirò a gestire tutto senza problemi. Per questo, se incontro una difficoltà la analizzo, la comprendo e la affronto con la fiducia di avere gli strumenti per farlo.
Ho imparato ad ascoltarmi, a sentire quali sono i miei bisogni e realizzarli: non mi sento più in balia degli eventi, ecco.

 

Cos'è cambiato nella tua vita e nella percezione degli altri, dopo questo Master?

La prima cosa che mi viene in mente è il senso di responsabilità che ho acquisito. C'è voluto tanto, perché la tentazione di dare le colpe agli altri quando qualcosa non va è sempre tanta. Ma poi l’ho capito, sentito dentro e interiorizzato e ora è automatico e istintivo. Mi spiego meglio: quando con mia figlia abbiamo una discussione, io mi fermo e osservo cosa faccio io, cosa ho detto o fatto che può aver innescato il malumore o il conflitto. Cerco subito la mia parte di responsabilità perché così posso rimediare, posso migliorare la relazione con mia figlia. E questo vale per tutte le altre relazioni.
In più, ho imparato a non giudicare più gli altri. Per stare in tema di relazioni con persone molto vicine, il rapporto con il padre di mia figlia è migliorato anche per questo. Come tutti noi ha punti di forza e di debolezza. Dove so che è più debole non lo giudico, ma anzi, provo ad andargli incontro. Dove invece ha punti di forza io glieli rimando, gli comunico che sono - appunto - la sua forza e che mi aiutano a fidarmi di lui. E lui lo sente ed è naturalmente invogliato a dare il meglio di sé in quel che può.
Grazie a questo ottimo rapporto che abbiamo, credo che mia figlia non abbia ben chiara la differenza tra genitori separati e non. Proprio perché le garantiamo stabilità, presenza e armonia, anche se non viviamo più insieme, ma il nostro rapporto è sano ed equilibrato.

 

 
Se Mediare fosse una persona, chi sarebbe per te? Come la descriveresti?

La famiglia che non ho mai avuto. Ho potuto sperimentare un senso di accoglienza, di comprensione che non avevo mai trovato prima.

 

Quanto ti è stata utile la parte esperienziale?

Fondamentale. Ho avuto modo di sperimentarmi e capire per la prima volta di avere dei bisogni che non ero mai riuscita ad intercettare. Quindi erano rimasti sempre insoddisfatti e questo causava sofferenza. I laboratori esperienziali aiutano davvero a capire tantissime cose, a sperimentare emozioni mai sperimentate.
Ora che ho capito, per esempio, che io ho necessità di appoggio dagli altri, di sostegno, lo esprimo, lo manifesto e lo cerco negli altri, perciò riesco ad averlo. Senza i laboratori esperienziali del Master penso che non lo avrei capito così chiaramente.

 

Cosa ti aspetti da Mediare dopo aver finito il Master? Per esempio: ulteriori iniziative, confronti, o altro.

Io mi sono offerta come tutor proprio perché volevo continuità in questo percorso, quindi di fatto ho già ciò che mi aspettavo. In questo modo continuo ad essere a stretto contatto con tutto il team di Mediare per consigli, consulenze, pareri. Oltre che per una continua crescita.
Al di là di questo, mi piacerebbe che ci fossero degli incontri periodici con i miei ex compagni di corso, ma anche con persone di altre classi o professionisti, per continuare nel confronto e nello scambio. Dopo un'esperienza così intensa ne senti proprio il bisogno.

 

 

Continuano le interviste ai nostri ex allievi. Una di loro, ora docente del corso, ci parla della sua esperienza con il Master in counselling e mediazione familiare.
Sentiamo cosa ci racconta oggi Viviana.


Ciao Viviana, grazie tante del tempo che ci dedichi per questa chiacchierata. Cominciamo con le domande.
Ci racconti perché hai deciso di frequentare il Master in counselling e mediazione familiare di Mediare?

Grazie a voi!
Mi sono avvicinata alla Mediazione dopo la laurea in sociologia ed era mio desiderio continuare a formarmi. Ho scelto un corso di mediazione sociale, in cui si trattava anche la mediazione familiare, ma in modo non esclusivo. Tramite un collega del corso mi sono avvicinata al counselling come allieva e poi anche come collaboratrice nei corsi che faceva la sua associazione.
Nel tempo ho approfondito il counselling con studi più strutturati e mi sono accorta di avere lacune sulle dinamiche e i conflitti di coppia. Mi interessava approfondire e nella mia ricerca ho trovato un corso specifico di mediazione familiare, quindi legato alla vicenda separativa.
Mi sono appassionata all'argomento, volevo saperne di più sulle coppie ancora non arrivate "al punto di non ritorno". Così quando ho conosciuto Mediare, ho pensato che fosse proprio ciò che chiudeva il cerchio: da una parte il counselling di coppia dove il supporto alla persona porta alla conoscenza dei bisogni di ciascuno; dall'altra la mediazione familiare che facilita decisioni concrete, desiderate e condivise. È stato per me un approfondimento e il trait d'union tra due percorsi fatti separatamente.

 

Quali sono le cose che più ti porti dietro di questa esperienza?

Su tutte, direi l’atmosfera che si è creata e la relazione con le persone che hanno seguito il corso e anche con i docenti. A dirla tutta, questa domanda mi suscita più una sensazione che un contenuto, che è quella di un gruppo affiatato di crescita e di apertura, di condivisione. In una parola, fiducia, che mi piacerebbe poi riuscire a ricreare anche nel mio lavoro, come professionista e anche nella mia vita privata.
Poi mi porto dietro un metodo, una formazione professionale che fornisce non solo una chiave interpretativa dei conflitti di coppia, ma assieme anche una soluzione possibile.

 

Cos'è cambiato nella tua vita e nella percezione degli altri, dopo questo Master?

Con questo Master mi sembra di comprendere meglio le persone intorno a me, inclusi gli amici, le persone che conosco già, che sono i primi sui quali ho fatto "esercizio di osservazione". Un'osservazione partecipata, un ascolto attivo soprattutto di bisogni che fanno fatica ad essere soddisfatti e che vengono coperti da lamentele, pretese…
Molto spesso chi è in coppia si lamenta per qualcosa che l'altro fa o non fa, viene automatico. Riportare l'attenzione a se stessi consente di realizzare ciò che si ritiene importante ed è un buon modo per uscire dall'empasse, per poter fare "cose diverse dal solito" per far rientrare l'incomprensione, pur con delle difficoltà.
Questo è, a mio avviso, il passaggio fondamentale per cambiare le proprie azioni e, di conseguenza, migliorare anche la relazione di coppia.
Nella mia vita, invece, ho scoperto il perché di alcuni miei comportamenti e quanto siano stati disfunzionali rispetto a ciò che mi serviva. Ciò che ho imparato mi aiuta oggi ad attivarmi per cambiare e stare meglio, riesco a correggermi. O quanto meno ad accorgermi della mia responsabilità di ciò che mi accade, se proprio non riesco a correggere il tiro.
Forse mi sono ammorbidita nei rapporti con gli altri, ho imparato ad aver meno paura e una maggiore consapevolezza mi fa scegliere se aprirmi o meno di fronte a una persona o una situazione. In questo è stato fondamentale far parte di un gruppo, altre persone che nel percorso mi hanno conosciuto e mi hanno insegnato a conoscere meglio me stessa in relazione agli altri. Ho potuto sapere l'"effetto che faccio" e ho scoperto che è molto diverso rispetto a quanto pensassi.
Ho anche capito perché le mie storie passate sono finite, dove ho avuto io delle mancanze o non sono riuscita a esprimermi al meglio.

 


Se Mediare fosse una persona, chi sarebbe per te? Come la descriveresti?

Se fosse una persona sarebbe un essere mitologico metà uomo metà donna, con una parte femminile molto responsabile ed accogliente e la parte maschile leggera e determinata. Forse perché sono caratteristiche per me ideali e in questa esperienza mi sembra di averle trovate. Soprattutto quelle che attribuisco al maschile per me sono molto importanti probabilmente perché sento di esserne un po' carente. Sono caratteristiche complementari che mi sono state restituite nella completezza di quest’esperienza.

 

Quanto ti è stata utile la parte esperienziale?

Fondamentale. Completa la parte più teorica e in un percorso come questo è importantissima. L’esperienza è quella che ti permette di entrare in contatto con te stesso. Io all'inizio ero molto sul pezzo dal lato teorico ma faticavo molto a scendere nel profondo. Ci ho messo un po' ma grazie ai laboratori ho cominciato a capire quando stavo evitando di vedere certe cose per non intervenire su di me, pur sapendo che avrei dovuto farlo.
Ho scoperto, per esempio, che quelli che pensavo fossero miei difetti per gli altri non lo erano e ho cominciato a vederli con occhi diversi. Le mie fragilità che tanto nascondevo, pensando erroneamente che fossero negative e fonte di imbarazzo, hanno creato empatia e, paradossalmente, sono state anche queste a costruire una relazione autentica con gli altri. Al contrario, alcune caratteristiche mie che pensavo fossero punti di forza, allontanavano gli altri.
Posso dire che il lavoro degli esperienziali è una continua scoperta di se stessi e degli altri, e anche di se stessi attraverso gli altri.

 

Cosa ti aspetti da Mediare dopo aver finito il Master? Per esempio: ulteriori iniziative, confronti, o altro.

A livello professionale mi aspetto degli incontri, degli approfondimenti su temi specifici, dei workshop. Uno scambio che comprenda anche una supervisione dal team della scuola che ha tanta esperienza e per questo può essere un supporto per i professionisti o per chi vuole mantenere vivo quanto appreso nel proprio percorso di crescita personale.
A livello umano non ho aspettative, nel senso che io so che loro sono lì, che posso ritrovarli e sono un riferimento. È come in alcune amicizie speciali: anche se non ci si vede per anni, il rapporto è per me così significativo che penso non possa cambiare.

 

 

Facciamo il nostro meglio per raccontare chi siamo, cosa facciamo e quali siano i nostri obiettivi lavorativi e di formazione. Ma chi meglio dei nostri ex allievi, può dire cosa sia l'esperienza di Mediare?
Oggi Simona ci dice la sua sul Master in counselling e mediazione familiare.


Ciao Simona, grazie della tua disponibilità, innanzitutto.
Ci racconti perché hai deciso di frequentare il Master in counselling e mediazione familiare di Mediare?

Ciao e grazie a voi!
Io sono laureata in sociologia e lavoro nelle risorse umane di una grande azienda multinazionale. Sia per motivi lavorativi che - soprattutto - personali, ho cominciato diversi anni fa un corso di counselling. Tra i docenti di questo corso c'era anche Franco Pastore (direttore di Mediare, ndr) che era venuto a parlarci di counselling di coppia. Dopo aver parlato di teoria, ci ha chiesto se avessimo voluto continuare con approfondimenti teorici o passare alla pratica. Ci avrebbe mostrato qualche tecnica di intervento e come si svolge il processo, ma per farlo gli serviva una "cavia". In quel momento io ero in una fase personale particolare, di confusione nella mia relazione di coppia e, pur essendo abbastanza timida, mi sono offerta di mettermi in gioco di fronte a 40 persone, cioè i miei colleghi di corso. Mi si è aperto un mondo.
Dopo aver finito il corso, ho capito che l'appuntamento con Mediare era solo rimandato. Ero soddisfatta del mio percorso di crescita personale, professionale e relazionale con gli altri: avevo ripreso contatto con ciò che davvero mi piaceva e affrontato aspetti di me stessa che faticavo ad accettare. Ma sentivo che mancava qualcosa. Il counselling di coppia e la mediazione familiare erano i tasselli che dovevo ancora esplorare per bene, sia a livello personale che professionale, se volevo lavorare con le coppie. Ed ecco che mi sono presentata a Mediare per iscrivermi al corso.

Quali sono le cose che più ti porti dietro di questa esperienza?

Mi porto dietro, senza dubbio, il tempo brevissimo che è trascorso perché vedessi grandi cambiamenti dentro di me.
All'inizio ci ho messo un po' a decidermi se cominciare o meno questo corso. Avevo paura di andare a riprendere degli aspetti di una vecchia relazione finita, ma che in me aveva lasciato qualcosa di irrisolto. Una volta cominciato il corso, mi ha sconvolto il fatto che già nel secondo laboratorio esperienziale io sia riuscita ad affrontare quella tematica e chiuderla, risolverla.
Da quel momento, avendo sperimentato su me stessa l'efficacia del processo e del percorso, ho seguito con sempre maggiore entusiasmo. Ecco, questo è un aspetto che porto ancora dentro di me, anche a livello emozionale.
Mi porto dentro anche un arricchimento personale grandissimo: mi sono vista cambiare, riaprirmi al mondo come non facevo più. Il Master di Mediare non è solo un percorso teorico valido, ma un vero strumento di lavoro pratico, che come vedi serve prima di tutto a livello personale. Ci vuole un po' per entrare nel meccanismo, per raccogliere le nozioni e le tecniche e averne una visione d'insieme. Quando, però, acquisisci il metodo, ti rendi conto di quanto sia efficace sulle coppie, ma anche sui singoli, perché tutti stiamo in relazione con gli altri.
E ancora, mi porto dentro le emozioni vissute nei laboratori esperienziali, perché anche quei percorsi e quelle emozioni diventano strumenti per affrontare meglio la vita quotidiana, le piccole e grandi sfide.

Cos'è cambiato nella tua vita e nella percezione degli altri, dopo questo Master?

Un po' ciò che dicevo poco fa: ho proprio riscoperto delle mie modalità di relazione con gli altri. Sicuramente, poi, mi pongo verso gli altri in modo sempre meno giudicante. Quando cominci un percorso del genere, capisci che gli altri si comportano con te anche in base al tuo comportamento.
La cosa più difficile che ho imparato è fermarmi e chiedermi: perché sto reagendo così? Qual è il bisogno che mi spinge? Cosa sta portando l’altra persona, che mi spinge a reagire così?
È un allenamento costante che ci rende consapevoli di come siamo, di che meccanismi mettiamo in atto e, per questo, di decidere come intervenire.
È bello sapere che ciò che mi succede è mia responsabilità e che al mio atteggiamento diverso avrò risposte diverse dall’esterno.


Se Mediare fosse una persona, chi sarebbe per te? Come la descriveresti?

Un punto di riferimento, una persona importante, un esempio. È come se fosse una persona che ti dà la possibilità di sperimentarti e stare al mondo in modo diverso. Sicuramente identifico Mediare con una persona determinante per la mia crescita personale e professionale, ma anche per la mia consapevolezza.
Per esempio, quando mi trovo in una situazione particolare, mi ritrovo a pensare: chissà cosa mi direbbero loro (di Mediare), perché so che sarebbe la cosa giusta. O ancora, potrei dire che Mediare la descriverei come un faro, una guida, una rete di salvataggio. Mi ha dato tanti strumenti che tiro fuori dalla mia cassetta degli attrezzi quando mi servono, per questo è un riferimento costante.

Quanto ti è stata utile la parte esperienziale?

Tantissimo. Io sono sempre stata molto cognitiva, razionale, organizzata. La parte esperienziale di Mediare, invece, è molto incentrata sulle emozioni. Per me, quindi, è stata importantissima perché mi ha rimesso in contatto con le mie emozioni, con la mia "pancia".
Nel tempo, poi, è cambiato il mio modo di vivere i laboratori esperienziali. Oggi da tutor degli allievi del corso lo vivo in modo differente e il risultato che produce in me è molto diverso da quello che produceva nel passato, quando io ero l'allieva. È un grande allenamento anche questo, specialmente per persone che come me fanno fatica a esplorare la propria parte emozionale. È un percorso forte, importante e necessario. Ognuno ha il suo tempo per arrivare al contatto con le proprie emozioni, non ci sono forzature e questo permette a ognuno di arrivarci quando e come gli è più congeniale.
C’è molta partecipazione poi, perché il percorso lo facciamo in gruppo, quindi ognuno conosce i percorsi degli altri e può gioire delle conquiste di tutti, perché sa quanto sia impegnativo.

Cosa ti aspetti da Mediare dopo aver finito il Master? Per esempio: ulteriori iniziative, confronti, o altro.

Io sto continuando come tutor perché sono stata io a propormi. Ero talmente entusiasta che volevo trovare un modo di continuare un percorso con loro, anche come docente magari. L'ho chiesto a Franco e lui, naturalmente, mi ha risposto: dipende tutto da te.
Al di là di questo, in generale posso dire che quello che mi aspettavo sta succedendo e cioè un confronto costante a livello personale e professionale. Anche il fatto che i corsi abbiano un numero massimo di iscritti, fa sì che i rapporti costruiti durante il corso siano forti e rimangano anche dopo.

Abbiamo già parlato di cosa sia la mediazione familiare sul nostro blog. Sappiamo che è un intervento di aiuto alle coppie che, in seguito a una crisi avvertita come grave, decidono di separarsi. Oggi parliamo in modo più approfondito di alcune dinamiche che si instaurano nel processo di separazione e di come la mediazione familiare sia un efficace strumento di soluzione del conflitto.
Il motivo per cui la mediazione familiare con Mediare ha risultati molto positivi, è che ha un modo peculiare di affrontare il conflitto nella coppia. A differenza della mediazione familiare tradizionale, utilizza gli strumenti del counselling. Ristruttura la comunicazione tra i partner, li mette in condizione di riconoscere l’uno le emozioni dell’altro e, per questo, comprendersi. Riesce a eliminare l’ostilità nella coppia, che solo così sarà in grado di decidere come gestire aspetti pratici e relazionali, durante e dopo la separazione. Tutto il processo è funzionale a ristabilire armonia sulla gestione della relazione futura.
Vediamo insieme alcuni aspetti che, in fase di separazione, vengono avvertiti come importantissimi dalle coppie.

Una nuova relazione per il benessere dei partner e dei figli

Nella maggioranza dei casi, la coppia che arriva a decidere di lasciarsi, ha dei figli. La separazione riguarda, quindi, l'intero nucleo familiare e non solo la coppia.
A prescindere dall'età, i figli soffrono sempre tantissimo quando i genitori decidono di prendere strade diverse.
Da una parte i figli vivono una grande destabilizzazione, dovuta al fatto che il nucleo familiare cambia forma e - per questo - dinamiche. In secondo luogo, l’evento può essere assimilato a un lutto, perché la famiglia come era composta fino a quel momento, non esisterà più.
I figli tendono a chiudersi nei confronti dei genitori sebbene, in realtà, abbiano bisogno più che mai di entrambe le figure. E ne hanno bisogno in ogni momento: in quelli brutti come conforto, in quelli belli per celebrarli assieme. Per questi motivi, i genitori hanno la grande responsabilità di rendere la separazione meno traumatica possibile. Sono gli unici che possono farlo e devono attivarsi affinché sia così.
Il problema è che il costrutto familiare decade dopo la separazione e i genitori non sono più entrambi disponibili insieme per i figli. Anche quando sembrano esserlo, perdono tempo a litigare anziché concentrarsi sull'essere partecipi. Ecco dove si inserisce il lavoro del counselor e mediatore familiare: rimettere in comunicazione efficace i genitori, per far sì che costruiscano un nuovo tipo di relazione solidale.
Solidarietà significa:

  • agire entrambi nell'interesse dei figli,
  • non contraddirsi a vicenda,
  • non sminuire l’altro di fronte ai figli, specialmente in sua assenza,
  • essere concilianti per andare incontro alle esigenze dei figli, nel loro esclusivo interesse. 


Per far sì che questo accada, la mediazione familiare di Mediare permette ai genitori di confrontarsi, litigare e far emergere l’ostilità, per riuscire poi a eliminarla. Il conflitto permane, ma l’ostilità viene eliminata. C’è un riconoscimento emotivo che permette ai partner di sotterrare l’ascia di guerra nel comune interesse e, soprattutto, per quello dei figli. Solo così i partner potranno trovare un nuovo equilibrio e prendere le decisioni migliori per il proprio nucleo familiare.

L’importanza del tempo

Non siamo certo fanatici dell’accelerare i tempi e compiere scelte avventate, anzi, esattamente il contrario. Possiamo, però, affermare con certezza che il metodo di mediazione familiare che ha ideato Mediare, è molto più rapido di quanto si possa pensare.
Quando una coppia si separa, almeno uno dei due partner ha fretta di concludere le pratiche, di disfarsi della relazione che è diventata ormai solo fonte di pena. In questo modo, però, il rischio di compiere scelte sbagliate è alto, come quello di far aumentare esponenzialmente il conflitto. La mediazione familiare serve a evitare tutto questo e punta, anzi, a far giungere la coppia alla migliore decisione nel tempo più rapido. Per farlo, però, è necessario che in una fase iniziale, la coppia si prenda dei momenti per fermarsi, riconoscersi e confrontarsi.
Questa fase serve a non sprecare tempo inutilmente dopo, a non trascinarsi conflitti irrisolti e diatribe infinite. Il tempo investito nella mediazione familiare cancella l’ostilità, che resta solo un brutto ricordo. Solo così la coppia è pronta a costruire una nuova relazione nella quale prenderà decisioni in modo condiviso e conveniente per tutti.

Separazione consensuale: sì, lo voglio

Altro nodo è la separazione consensuale. Il grande conflitto delle coppie, spesso, deriva proprio dal fatto che un partner vuole separarsi e l’altro no. Per questo si innescano ripicche, rivendicazioni, piccole e grandi vendette.
Ciò di cui si occupa la mediazione familiare non è convincere la coppia a condividere la scelta di separarsi. Piuttosto, gioca un ruolo importante nel trasformare l'ostilità all'interno della coppia, far sì che ognuno dei due riconosca i bisogni dell’altro, sia in grado di comunicare in modo non conflittuale ma, anzi, produttivo. In questo senso possiamo dire che facilita la valutazione dei partner in modo che siano più inclini a venirsi incontro anche nella consensualità della separazione.
Non c’è l’eliminazione del conflitto, ma la consapevolezza da parte dei partner che il modo in cui stanno in conflitto condizioni il processo di separazione e tutto ciò che ne consegue. I partner arrivano, quindi, a lasciare da parte l’ostilità, pur facendo ognuno il proprio interesse.
La mediazione familiare che usa gli strumenti del counselling è in grado di portare la coppia a condividere le emozioni e mettersi in contatto empatico. Questi passaggi si rivelano importantissimi perché sono gli unici che permettono alla coppia di prendere decisioni in modo più disteso, lucido e adatto alle esigenze di ognuno. Ecco perché, nel lungo termine, queste decisioni si riveleranno le migliori e garantiranno di eliminare tutte le ostilità.

 

La gelosia è un argomento caldo per molte coppie. Le hanno dedicato canzoni, film e libri, nel tentativo di ritrarla talvolta in una cornice romantica, talvolta come uno spettro da allontanare.
La verità è che la gelosia non ha granché di romantico ma, piuttosto, è in grado di scatenare grandi conflitti nella coppia. È fonte di sofferenze, litigi e, nei casi estremi, perfino violenze.
Ecco perché parliamo di S.O.S.: non andrebbe sottovalutata, ma affrontata e compresa, per poterla riportare a una dimensione più innocua possibile. Il counselling e la mediazione familiare sono ottimi percorsi per aiutare le coppie a gestire la gelosia, specialmente nei casi in cui diventa asfissiante.
Partendo da qui, vediamo come possiamo affrontarla e recuperare serenità per noi stessi e per il bene della coppia.


Cos'è veramente la gelosia

La gelosia si manifesta in diverse modalità, che hanno un filo conduttore: il timore di perdere qualcuno che pensiamo ci appartenga. Possiamo fare una distinzione tra un tipo di gelosia che ha a che fare con l’aspetto sessuale e una che possiamo definire asessuata.

  • Nel caso della prima, la gelosia è un elemento che, paradossalmente, tiene vivo il rapporto nella coppia. Il partner geloso rivendica il suo primato rispetto a una terza persona che può insidiare l’altro partner. Probabilmente il motivo che ha fatto nascere quella coppia sta nel fatto che il partner geloso sia riuscito a conquistare la sua metà, prevalendo su altre persone e sentendosi appagato da questo. Il punto è che questo elemento rimane invariato anche quando la coppia diventa stabile. Il fatto di aver “vinto” su altri, tiene vivo il rapporto e quindi la gelosia funge da collante.

  • Nel secondo caso, quello della gelosia che non ha a che fare con l’aspetto sessuale, spesso è frutto di un rapporto tra una persona dipendente e una autonoma. Il dipendente si appoggia in tutto e per tutto al partner più autonomo e, per questo, teme che qualsiasi altra persona o un evento, possano allontanarlo e portarglielo via. Ha a che fare con una scarsa autostima e con una perenne insicurezza di fondo di uno dei due partner: tutto ciò che sta fuori dalla coppia, così, diventa una minaccia. Per questo una partita di pallone, una cena fuori, perfino il posto di lavoro, diventano terreni di scontro. Pur definendo questa gelosia “asessuata”, la sessualità viene chiamata in causa: il partner geloso dichiara di temere che l’altro lo tradisca mentre è da solo in altri luoghi. Non è, però, la reale motivazione della gelosia, che scaturisce invece dalla profonda insicurezza di uno dei due partner.


In entrambi i casi, counselling e mediazione familiare sono in grado di stabilire da dove abbia origine anche grazie all'analisi degli stili di attaccamento. Una volta compresi alcuni meccanismi che stanno alla base della coppia, possono inquadrare quali comportamenti siano problematici, sostenendo la coppia in un percorso di cambiamento.


Ritrovare l’equilibrio in 5 mosse

Al di là della specificità dei casi, ci sono delle buone pratiche che sono utili in tutti i casi nei quali la gelosia diventa una polveriera pronta a esplodere. I percorsi di counselling e mediazione familiare passano anche da qui:

  1. Comunicare: ne abbiamo ampiamente parlato nel nostro blog, perché la comunicazione è relazione. Ciò significa che una buona relazione è fatta di una buona comunicazione.
    Cosa intendiamo per buona comunicazione? Innanzitutto una comunicazione chiara, diretta ed esplicativa. Impariamo a non tenerci le paure, i sospetti e nemmeno le manifestazioni di affetto e amore. Se anche ci viene difficile all'inizio, facciamo un piccolo sforzo per dire ciò che pensiamo al partner. Se abbiamo paura che ci tradisca, troviamo il modo più costruttivo di parlargliene, cerchiamo un confronto. Se pensiamo che le sue attenzioni siano prese da un'altra persona, chiediamogli se davvero è così o solo un frutto di una nostra paura che diventa un mostro gigantesco se la alimentiamo da soli nella nostra testa. Se non riusciamo a dire le cose, staremo comunque comunicando qualcosa: paura, nervosismo, distacco. Potrà fare bene al rapporto, soprattutto se siamo persone gelose?
    Naturalmente questa regola vale anche in positivo. Non dimentichiamoci di dire al partner quanto sia importante per noi, quanto sia bello condividere la vita quotidiana e coltivare l’amore giorno per giorno. Non c’è bisogno di scrivere poesie d’amore, bastano poche semplici parole di gratitudine e affetto: non sono mai scontate.

  2. Darsi delle regole: sembra strano dire a una coppia di darsi delle regole, ma in realtà è una buona pratica per mettere in chiaro tantissime dinamiche.
    Ognuno di noi ha bagagli culturali diversi, dati dai luoghi di provenienza o da come siamo cresciuti in famiglia. Due persone possono trovarsi sui valori, sulla sessualità e tanti altri aspetti, ma avere comportamenti diversi su alcune cose. Questo accade semplicemente perché siamo abituati a comportarci in un modo che è frutto della nostra esperienza. Quando cominciamo una nuova relazione, però, un dato comportamento potrebbe non essere compreso o accettato dalla persona che abbiamo scelto. È necessario, quindi, ragionare insieme su quali siano i limiti e i canoni di ognuno come singolo e come coppia. Questo vale anche per la sfera sessuale, dentro e fuori dalla coppia. Quanto possiamo permetterci scambi affettuosi con altre persone, tali da non indurre il partner a essere geloso? Ci siamo dati dei limiti per la sperimentazione sessuale col partner, ma soprattutto, ce li siamo comunicati?
    Stabilire insieme quali siano i nostri confini e i nostri comportamenti, alleggerirà di molto il carico di eventuali sospetti che possono dare luogo a gelosie.

  3. Smettere di confrontarsi con gli altri: spesso la gelosia è frutto di un senso di inadeguatezza di uno dei partner. Le persone insicure tendono a confrontarsi con gli altri, sentendosi sempre meno capaci, meno belle, meno interessanti. Smettere di confrontarsi con gli altri in modo distruttivo è una buona pratica, in primo luogo, come individui.
    Ispirarsi a qualcuno che conosciamo e riteniamo capace è una cosa positiva. Non lo è più quando questo confronto si trasforma in "questa persona è meglio di me, quindi è una minaccia". Se viviamo così il confronto con gli altri, chiunque diventa un pericolo per la stabilità della coppia. Tutti diventano "migliori di noi" e quindi potrebbero portarci via il partner.
    La fedeltà ci protegge dal rischio del confronto con altre persone. La possibilità che il partner ci tradisca, al contrario, ci fa diventare gelosi perché temiamo di non reggere il confronto con gli altri.
    Proviamo piuttosto a rovesciare il punto di vista: perché il nostro partner dovrebbe stare con una persona che vale meno delle altre?

  4. Dosare la fiducia: impariamo a concedere al nostro partner il suo spazio. Una cena fuori, la partita con gli amici, una serata tra amiche di vecchia data. Non è soffocando la nostra metà che saremo sicuri che non scappi da noi. Al contempo, non dovremo nemmeno disinteressarci del tutto di ciò che fa fuori di casa.
    Il vero segreto non è tanto dare fiducia incondizionata al partner, quanto piuttosto rafforzare quella in noi stessi. Questo significa essere consapevoli di cosa possiamo dare al partner, di come possiamo comportarci per andare incontro alle sue esigenze. Quando un partner si allontana è perché dentro la coppia non vede soddisfatti i propri bisogni. Cerchiamo, allora, di essere più consapevoli delle nostre capacità e andare incontro al partner. In questo modo non sarà spinto a cercare soddisfazione altrove e la gelosia non avrà ragion d’essere.

  5. Rinegoziare il rapporto: nel tempo il rapporto nella coppia cambia, si evolve. In ogni fase ci sono esigenze diverse, dettate da fattori esterni e interni. Rinegoziare il rapporto di volta in volta è utile a viverlo serenamente anche per ciò che riguarda la gelosia. Saper comunicare al partner i propri bisogni aiuta la coppia ad affrontarli e assestarsi ogni qual volta gli equilibri cambiano.
    Questo vale anche per la gelosia: capita che un partner si dimostri geloso di fronte a un cambiamento dell’altro. Un nuovo lavoro, un momento di debolezza di un partner in cui ha necessità di maggiore presenza dell’altro, la decisione di ritagliarsi uno spazio personale. Prima che questo diventi fonte di rivendicazioni, sospetti e gelosie, fermiamoci e chiediamoci cosa ci serve per stare bene, cosa possiamo fare noi e cosa può fare il partner. Decidiamo insieme come star meglio in coppia, in ogni fase che attraversa.

L’essere umano è in continua evoluzione e crescita. Le fasi della vita di ognuno di noi sono tappe in cui affrontiamo gradualmente eventi nuovi e una parte molto importante la sperimentiamo nella coppia. Stare in coppia, infatti, è un’esperienza edificante perché ci mette di fronte a situazioni inedite e ci sfida ogni giorno. Proprio per questo diventa urgente concentrarsi sulla coppia e sul ciclo vitale, per capire come influenzi i nostri comportamenti e ci spinga a un miglioramento costante. 
Partendo dal presupposto del modello sistemico, possiamo considerare la coppia come un sistema che ha un suo equilibrio interno e subisce continue sollecitazioni dall’esterno. Queste pressioni riducono l’equilibrio della coppia, che deve sforzarsi di reagire allo stress tra un istinto di conservazione e uno di evoluzione. Rimanere come prima per paura di cambiare, o cambiare assetto per provare a rendere migliore il rapporto?
Quando queste pressioni non vengono gestite, possono dar luogo a dei conflitti. Perché il conflitto non porti a una crisi, è fondamentale che la coppia introduca un cambiamento, per ritrovare l’equilibrio.

Quando la coppia può andare in crisi?

I conflitti nella coppia possono essere di varia natura e spesso coincidono con le diverse tappe della vita di ogni individuo, oltre che con la fase del ciclo vitale della coppia. Ripercorrendone le fasi, si possono individuare i conflitti più frequenti legati alle singole tappe. Vediamo quali sono.

Il giovane adulto

L’inizio dell’età adulta segna il momento in cui una persona giovane passa da una situazione di dipendenza dai genitori a una di maggiore autonomia e indipendenza. In questa fase spesso si sviluppa una tendenza a volersi distaccare velocemente dal nucleo familiare, per dare spazio a nuove relazioni compresa quella amorosa. La sfida qui è trovare un equilibrio tra il distacco dalla famiglia e le nuove relazioni che diventano parte sempre più consistente della vita.
Il giovane adulto forma una coppia con un’altra persona, ma spesso non si è ancora completato il processo di individuazione, cioè il giovane non è ancora riuscito a trovare la sua dimensione autonoma e indipendente. Per questo avrà ancora bisogni da figlio, possiamo dire infantili, che non potranno essere soddisfatti dall'altra metà della coppia. L’altro partner, infatti, non sarà in grado di poter soddisfare il bisogno di attaccamento e appartenenza che ancora caratterizza il giovane adulto. Il conflitto nasce a questo punto e spesso accade che le coppie in questa fase della vita entrino in una crisi che non sono in grado di superare. Quando questa crisi è superata, significa che la coppia insieme fa un percorso di crescita che permette a ognuno degli individui di affermarsi come autonomo rispetto alla sua famiglia di origine e far crescere, di conseguenza, la coppia.

La coppia stabile

Siamo nella fase in cui si stabilisce una coppia stabile, in cui il compito evolutivo è non più quello relativo all’individuazione, ma ai confini della coppia rispetto ai sistemi di provenienza. La tendenza generale è quella di un bisogno di allontanamento dell’uomo dalla sua famiglia di origine, mentre al contrario, la donna propende per stringere maggiormente il rapporto con la propria. Ogni membro della coppia può delegare all’altro la soddisfazione del bisogno opposto, che però non può accadere. Ognuno è infatti in grado di regolare l’allontanamento o meno dal proprio nucleo familiare originario, ma non può farlo con la famiglia dell’altro. 
In questo caso il conflitto può quindi riguardare la rinegoziazione del rapporto che ogni membro della coppia ha con il suo sistema di appartenenza originario. Riuscire a trovare una distanza equilibrata in questa fase, è il compito evolutivo della coppia e le garantirà maggiore stabilità.

Nasce un figlio

Questa fase è molto complessa perché comprende un cambiamento molto importante. Il sistema da coppia passa a triade, in più la madre e il bambino costituiscono un sottosistema già dalla gravidanza. La coppia qui ha un compito importante: assumersi nuove responsabilità e assicurarsi che questo sottosistema non diventi un sistema a se stante. Il rischio che l’uomo si senta escluso dal rapporto madre-figlio è, infatti, molto alto. Anche la madre può, di conseguenza, sentire un senso di solitudine nell'affrontare la nascita e la crescita senza un apporto significativo del padre. Ne derivano ulteriori implicazioni legate alla gestione sessista della genitorialità e delle responsabilità che riguardano l’intero nucleo familiare. Se questo stress viene espresso dalla coppia può portare a una rottura, se madre e padre non sono in grado di assumersi le responsabilità adeguate, innescando un cambiamento.

La coppia con figli adolescenti

I figli in età adolescenziale sottopongono la coppia a delle grandi prove. Le dinamiche che si instaurano nella famiglia ruotano attorno alla permanenza o meno dei figli nel nucleo familiare. Se i genitori spingono i figli a uscirne, i figli tenderanno a voler restare; al contrario, se i genitori vogliono trattenere i figli, questi avranno la tendenza a volersi allontanare. Naturalmente questo crea una frustrazione che dal rapporto genitori - figli passa alla coppia. Ulteriore elemento di instabilità può derivare dai genitori della coppia, che essendo in età avanzata, si aspettano cure e premure dai figli, mettendoli sotto pressione. La coppia può quindi sentirsi caricata di responsabilità da una parte – i figli – e dall’altra – i genitori – sentendo di non avere più spazio per la propria crescita e realizzazione personale e di coppia. Gestire questo equilibrio è operazione delicata e di grande consapevolezza, unica via che permette alla coppia di non essere schiacciata dalla pressione di una delle parti o da entrambe. Per farlo deve fermarsi, mettere a fuoco il problema e discuterne, capire come affrontare insieme le difficoltà e mettere in atto un cambiamento e una rinegoziazione degli equilibri dove necessario.

I figli escono dal nucleo familiare

Questa fase può coincidere con depressione e senso di smarrimento. Viene chiamata anche sindrome del nido vuoto. I genitori si ritrovano da soli, con tempo a disposizione e in questa fase cominciano ad affrontare i problemi reali, cioè quelli che hanno cause evidenti e non derivanti da motivi diversi rispetto alla manifestazione del problema. Questi problemi si manifestano dopo essere stati rimandati e accantonati negli anni. In realtà quindi, si rivelano essere problemi con origine nel passato e non causati dalla situazione contingente. 
Può succedere che la coppia stenti a riconoscersi, che ognuno vada avanti da solo e porti avanti la coppia per inerzia, senza però trarne felicità o appagamento. In questo caso il compito della coppia è affrontare questi problemi e ridurre il conflitto, per dirigersi insieme verso i tratti finali della vita, sicuri di avere l’appoggio l’uno dell’altro.


Il percorso di aiuto e crescita più lungo ed efficace

La vera difficoltà in tutte le fattispecie elencate è sempre la stessa: la coppia spesso non è incline a fermarsi, prendersi del tempo e parlare apertamente del problema che la affligge. Se questa continua rinegoziazione sugli equilibri, sulle esigenze e punti di vista non viene fatta durante tutto il percorso, i problemi si sommeranno l'uno sull'altro. Un po' come fa una valanga che si ingrossa sempre più mentre scivola giù per la montagna, così faranno i problemi della coppia se non gestiti di volta in volta. Il rischio è, infatti, quello di arrivare a un punto tale in cui non si capisca nemmeno più da cosa sia partito il conflitto e quindi la coppia non è più in grado di recuperare, facendosi travolgere dalla valanga. 
Alla luce di tutte le criticità che abbiamo elencato, è comprensibile come mantenere un equilibrio in coppia sia un vero percorso a ostacoli. Riuscire a farlo tutto fino in fondo è faticoso, ma incredibilmente soddisfacente. Anche urtando qualche ostacolo o inciampando, riuscire a rialzarsi e continuare la strada, è da considerarsi come il più grande percorso di crescita personale che possiamo intraprendere. Confrontarsi con il partner, essere disposti a mettersi in gioco e cambiare degli elementi di sé per il bene della coppia e della famiglia, è la più grande conquista per un essere umano, è (forse) la vera chiave per la felicità.

 

Come già abbiamo visto nel corso del tempo, il counselling ha caratteristiche trasversali: è una relazione d’aiuto individuale, di coppia, di gruppo ed è applicabile a tantissimi ambiti. Abbiamo visto cosa sia anche la mediazione familiare, cioè un supporto per le coppie e/o famiglie in conflitto.
Rispetto al passaggio da counselling individuale a counselling di coppia, per noi di Mediare ci sono due questioni fondamentali:

  • cosa cambia da un percorso individuale a uno di coppia;
  • come il counselling di coppia per noi sia equivalente alla mediazione familiare, nel senso che quest’ultima ha un’efficacia molto più evidente se affrontata con gli strumenti del counselling.

Ecco perché consideriamo che siano sostanzialmente coincidenti. Andiamo per ordine.


Dall’individuo alla coppia: come si pone il counselor?

Il primo aspetto da considerare nel counselling di coppia è l’equilibrio che cambia tra l’esperto di aiuto e i clienti. Un conto è affrontare uno specifico tema con una persona che chiede aiuto, un altro è dare supporto a una coppia, quindi a due individui che hanno una relazione che li pone di fronte a dei conflitti.
Nel counselling di coppia e nella mediazione familiare, il counselor di trova di fronte a 3 soggetti:

  • il partner numero 1
  • il partner numero 2
  • la relazione

Considerato questo, vediamo quali elementi sono importanti per il counselor in funzione della coppia.

Accoglienza

Sappiamo già che l’accoglienza dei clienti è uno dei pilastri della relazione di aiuto. Nel caso della coppia, la prima cosa a cui il counselor deve prestare attenzione è il fatto che si presentino entrambi i partner o uno solo dei due, che porta con sé il terzo soggetto, cioè la relazione. Nel caso in cui si presenti solo un partner, il counselor deve informarsi per capire il perché. Già da qui può ricavare informazioni utili a inquadrare il conflitto in seno alla coppia.
Se invece la coppia si presenta assieme, fin dalla fase dell’accoglienza il counselor deve osservare le dinamiche che intercorrono tra i due. Non solo nelle parole che pronunciano, ma anche nel non verbale, negli sguardi e nel modo in cui mettono in atto il conflitto e arrivano a sviscerare il problema che li ha portati a chiedere aiuto.

Equivicinanza e neutralità

Una delle sfide più grandi per il counselor è quella di riuscire a tenere un atteggiamento più neutrale possibile rispetto a entrambi i partner. Il counselor e mediatore familiare sa che l'equivicinanza è molto importante perché anche i clienti avvertano che non propende per nessuno dei due. Si sente vicino a entrambi nello stesso modo ed è aperto ad accogliere le motivazioni di ognuno, ascoltare e interagire con entrambi allo stesso modo. Solo così i partner si sentono accolti e invogliati ad aprirsi al confronto.

Direttività

Sappiamo che il counselling non è direttivo, cioè non dice ai clienti come devono risolvere, cosa devono fare, non dispensa consigli. Usa piuttosto delle tecniche che aiutino il cliente a trovare da solo la soluzione, a ragionare e trovare dentro di sé le risorse.
Quando parliamo di direttività nel counselling di coppia ci riferiamo, però, a come un professionista deve gestire il processo e l’interazione. È importante che lo faccia con un singolo, ma ancora di più quando parla con una coppia. Deve quindi gestire i tempi della comunicazione, assicurarsi che entrambi i partner abbiano sufficiente tempo per parlare, che uno non prevalga sull'altro. Non riuscire a gestire il flusso delle interazioni, rischia di innescare ulteriori conflitti che vanno evitati.

Comunicazione

Il counselor ha un ruolo cruciale nella ristrutturazione della comunicazione nella coppia. Nella maggior parte dei casi, infatti, i partner arrivano da un counselor e mediatore familiare che non riescono più a condividere le proprie emozioni e tante altre cose oppure lo fanno in modo aggressivo e conflittuale. Il risultato è sempre la difficoltà a comprendersi. Un buon livello di comunicazione serve al counselor per ricavare informazioni utili a capire come aiutare la coppia. E serve alla coppia per entrare in contatto nel modo più efficace e funzionale.
Per questo motivo il counselor deve osservare qual è il livello di comunicazione della coppia, per sapere come instradarla a ritrovare un buon equilibrio, una condivisione e un riconoscimento emotivo reciproco.

Empatia

Altro concetto chiave del counselling, tanto più valido nella coppia, è l’empatia. Il counselor deve mostrarsi empatico con entrambi i partner perché anche loro imparino a esserlo tra loro.
Ricordiamoci che molte volte non facciamo qualcosa per il semplice motivo che non sappiamo come si fa. L’empatia sentita e mostrata dal professionista favorisce l’apertura dei partner alla comunicazione verso il counselor e mediatore familiare, ma soprattutto reciproca. Se uno dei due si mostra empatico verso l’altro, automaticamente favorisce la sua condivisione, apertura e voglia di condividere.


Modello sistemico

Da tempo lavoriamo perché la pratica sia prevalente rispetto ai modelli. Vogliamo che i modelli siano un riferimento importante, ma non che imbriglino il nostro lavoro coi clienti. Per questo preferiamo non soffermarci troppo sui modelli, ma ricavare dall'esperienza quanto di più utile per affrontare le diverse situazioni. È vero però, che i riferimenti teorici ci tornano utili in alcuni casi e in alcuni ambiti.
A questo proposito, specialmente nella relazione di coppia, è importante pensare a cosa ci dice il modello sistemico: ognuno di noi è inserito in un contesto, in un sistema. Se una parte di questo sistema cambia, anche noi siamo costretti a cambiare.
Facciamo un esempio: una coppia arriva da un counselor e mediatore familiare e uno dei partner sostiene di non sentirsi compreso dall’altro. Questo è un fattore che determina il conflitto.
Un buon professionista si accerta prima di tutto di una cosa: il partner che non si sente compreso, comunica all’altro in maniera efficace? Se non lo fa, è facile che poi non si senta compreso, perché non sta comunicando i propri bisogni, che non potranno quindi essere compresi e soddisfatti dall’altro. Quando, invece, comincia a comunicare chiaramente con il partner, questo sarà costretto a cambiare il suo atteggiamento e venire incontro alle richieste, facendo scomparire pian piano le incomprensioni.
Ecco perché usiamo il concetto di costringere: un comportamento ne innesca un altro conseguente, perché i partner sono connessi in un sistema in cui se cambia una parte, cambierà anche l’altra.


Counselling di coppia e mediazione familiare

Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto, ci sembra giusto concludere soffermandoci sulla correlazione che per noi c’è tra mediazione familiare e counselling di coppia.
La diversa denominazione è data dal fatto che il counselling di coppia interviene sulle coppie in conflitto, che decidono di continuare la relazione. La mediazione familiare, invece, è quella che lavora con le coppie in fase di separazione.
Ciò che le accomuna è l’attenzione alla relazione futura dei partner. Al professionista non interessa che la coppia resti unita o si separi, perché la decisione spetta unicamente alla coppia stessa. Importa, piuttosto, che sappia gestire il rapporto in entrambi i casi. Counselling di coppia e mediazione familiare hanno entrambi l’obiettivo di sostenere le coppie senza interferire con il contenuto della decisione.
Per questo, da quasi 20 anni, Mediare lavora nella mediazione familiare con gli strumenti del counselling, più precisamente quelli del counselling di coppia. Cambia il nome ma non la sostanza: usiamo le stesse leve nella gestione del conflitto, con risultati eccellenti.
Riuscire a ristabilire una buona comunicazione nella coppia, anche in una fase critica come una separazione, non solo è possibile, ma è vitale perché la negoziazione sia efficace. Riuscire a rimettere in contatto empatico i partner dopo una forte crisi, è fondamentale perché riescano a comprendersi e trovino l’equilibrio ottimale.
Crediamo molto nel nostro metodo, perché i risultati ci danno ragione e ci confermano che riusciamo ad aiutare tantissime coppie anche nei momenti più difficili.

Il tradimento è una causa di rottura per molte coppie, perché non è semplice sapersi traditi e perdonare. Ma soprattutto non è semplice tornare a fidarsi della persona che ha tradito. Non per tutte, però, è così e accade anche che una coppia riesca a far fronte al tradimento e, quindi, continui la relazione. 
Restare insieme dopo un avvenimento del genere non è cosa semplice, anzi. Si può, quindi, trovare una soluzione? Ma soprattutto, come si supera un tradimento? 
Prima di scendere nei dettagli è bene fare una premessa: il tradimento non è una cosa che accade da un giorno all’altro, non è un colpo di testa. Piuttosto è il frutto di una serie di fattori che, nel tempo, sfociano nella ricerca di alternative più o meno estemporanee al di fuori della relazione stabile. Per questo è utile soffermarsi su alcune parole chiave che rappresentano i nodi attorno ai quali ruota il tradimento.

Fiducia

Dopo un tradimento, è fisiologico che nella coppia manchi la fiducia. Chi ha tradito può anche giurare e promettere di non farlo mai più, ma il partner che è stato tradito avrà molta difficoltà a fidarsi ancora. Nonostante questo ci sono molte coppie che decidono di mandare avanti la relazione, cercando un modo per normalizzare la situazione. 
È difficile perché, nonostante la voglia di rimanere insieme, spesso chi è stato tradito combatte ogni giorno con la mancanza di fiducia nel partner. Come risolvere, allora? 
Un suggerimento è sicuramente quello di cambiare prospettiva: se chi è stato tradito non può fidarsi del partner, dovrà puntare tutto sul fidarsi di se stesso. In termini pratici significa che chi è stato tradito può spostare il baricentro della fiducia su se stesso, facendo affidamento sulla propria capacità di prevenire in futuro una situazione simile. O ancora, mettendosi in condizione di avvertire i segnali di un eventuale nuovo tradimento in arrivo, intervenendo per tempo con un dialogo costruttivo e un confronto. 
Ci sono anche casi in cui la minaccia del tradimento rende il rapporto più vivo. Diventa, paradossalmente, ciò che spinge un partner a essere più attento ai propri comportamenti per evitare che questo succeda.

Conflitto

Altra importantissima parola chiave è questa. Il tradimento, infatti, scaturisce da un conflitto interno alla coppia, anche quando questo non è manifesto. Ci sono invece le situazioni in cui il conflitto è evidente e palese attraverso litigi, continui battibecchi, ripicche. La coppia si allontana e questo favorisce la ricerca di un diversivo all’esterno della coppia. 
Quando il tradimento avviene, il conflitto si acuisce e ognuno dei partner incolpa l’altro, addossandogli responsabilità su ciò che non va bene e che porta la coppia alla crisi. Uno scenario di questo tipo è abbastanza comune: il partner che tradisce si prende tutte le colpe e promette di non farlo più, il partner che viene tradito dà la colpa all’altro del tradimento pensando di non avere responsabilità. 
In realtà le responsabilità sono di entrambi, perché l’allontanamento di un partner è conseguenza di qualcosa che si è rotto in seno alla coppia. Ecco perché è necessario un confronto costruttivo e una serie di regole.

Regole

Darsi delle regole è un concetto che alcuni percepiscono come un voler ingabbiare la relazione. Soprattutto le donne, ma non solo, pensano che il partner dovrebbe sapere da solo come comportarsi in tutte le situazioni, tale da non creare attriti nella coppia. Non può, però, funzionare così. Ognuno di noi è diverso a causa della struttura familiare e di valori che ha alle spalle. Un comportamento vissuto come naturale da un partner, può essere meno accettato dall’altro. Per questo, confrontarsi e darsi delle regole non scritte ma chiare, possiamo considerarlo un gesto di buonsenso per l’armonia in coppia. 
Può sembrare banale, ma dire al proprio compagno che quando incontra un’amica ci fa sentire insicure se la abbraccia, la bacia e ha un approccio molto orientato al contatto con lei, può rendere più semplice per lui capire come comportarsi. Se per un uomo sapere che la propria compagna esce con amici maschi può essere fonte di fastidio, è bene dirlo, spiegare le insicurezze e i motivi.
Come possiamo aspettarci che l’altro si comporti come noi desideriamo per stare bene, senza che glielo diciamo chiaramente? Se non siamo in grado di darci questo tipo di regole, è molto probabile che si inneschino delle gelosie e delle incomprensioni che conducono la coppia a conflitti altrimenti evitabili. Quando questi conflitti si sommano, non ci ricordiamo più nemmeno da dove siano partiti e diventa molto difficile recuperare il bandolo della matassa per fare ordine. Le incomprensioni allontanano i partner e questo favorisce un tradimento in moltissimi casi.

Comunicazione

Come già molte altre volte abbiamo sottolineato, la comunicazione nella coppia è un campo a cui dedicare molta attenzione. 
Quante cose rimangono non dette, anche nelle coppie più longeve? 
Quante volte non riusciamo a dire ciò che vorremmo al partner? 
Partiamo dal presupposto che qualsiasi piccolo malessere, se non comunicato e discusso col partner, è destinato a sedimentarsi, crescere fino ad allontanare la coppia. Se ci allontaniamo dal partner significa che non ci stiamo mettendo in gioco insieme, ma che ognuno tiene per sé il proprio malcontento. In questo modo è molto più facile che si inneschi una dinamica che vede uno dei due, o entrambi, ricercare al di fuori una fonte di piacere. 
In questo senso, allora, dobbiamo considerare di entrambi la responsabilità: la colpa non è solo di chi tradisce, ma significa che si è interrotta la comunicazione e la voglia di risolvere assieme i problemi fisiologici di ogni coppia. Lo scambio continuo, la rinegoziazione costante del rapporto in base alle esigenze e alle fasi che ognuno vive, sono elementi vitali che scongiurano l’allontanamento e il possibile tradimento. Per questo, anche se il partner ci ha tradito, vale la pena di fare uno sforzo in questa direzione: parlarne, confrontarsi, non avere paura di esprimere tutto ciò che ci fa star male ma anche ciò che vorremmo per stare meglio.

Caratteristiche positive VS negative

Già quando abbiamo parlato di conflitto nella coppia abbiamo introdotto il concetto di monitoraggio affettivo. Significa che ogni qual volta incontriamo una persona che ci attrae, è come se compilassimo una lista mentale delle caratteristiche che ha. Naturalmente tendiamo a soffermarci più su quelle che ci piacciono e riteniamo positive, perché sono quelle che tendenzialmente soddisfano un nostro bisogno. In realtà vediamo anche le caratteristiche che non ci piacciono dell’altro/a, ma in un primo momento le mettiamo da parte. Queste ultime, in realtà, possono anch’esse avere un ruolo nel soddisfare un nostro bisogno, perciò diventano funzionali alla relazione. Per esempio: una donna riesce a conquistare un uomo che è un latin lover. Ha avuto relazioni con diverse donne della compagnia che frequentano e lei si sente migliore delle altre per averlo conquistato tutto per sé. 
È ovvio che fin dall’inizio a lei è chiara la tendenza di lui a corteggiare diverse donne, ma in quel momento diventa un elemento funzionale alla riuscita della relazione: soddisfa il bisogno di imporsi su tutte le altre donne vicine all’uomo che lei vuole. 
Naturalmente questo è solo uno dei tanti esempi, che serve però a rendere l’idea di come una caratteristica che non ci piace possa rivelarsi utile a far nascere una relazione. Ecco perché ciò che avvicina due persone, può diventare lo stesso che le mette in crisi.

 

Tutte queste azioni e accorgimenti non sono messi in atto con frequenza dalle coppie, al contrario risultano difficili. Non tutti, infatti, sono capaci di comunicare efficacemente, darsi delle regole, inquadrare il conflitto e le responsabilità oggettive. Anzi, in realtà sono pochissimi quelli che ci riescono. 
Per questo esistono counselor e mediatori familiari, che conoscono i modi più efficaci per sorreggere le coppie nella loro ricerca di equilibrio e serenità, anche dopo un tradimento. 
Le coppie che chiedono aiuto al counselling di coppia e mediazione familiare vengono messe nella condizione di farsi una serie di domande. 
È possibile continuare a dividere la propria vita con chi ha cercato il piacere al di fuori della coppia? 
Si può trovare il modo di recuperarlo, quel piacere, all’interno della coppia? 
Si aggiungono ulteriori domande nel percorso di counselling e mediazione familiare, quando i partner riescono a rovesciare la prospettiva e chiedersi: cosa ho fatto io perché l’altro non mi tradisse? Che cosa ha spinto l’altro partner a essere distante e farmi sentire persino rifiutato? Dove abbiamo perso il contatto costruttivo che ci potesse far risolvere assieme il conflitto? 
Proprio perché un tradimento non è qualcosa che deriva da un colpo di testa, ma da una situazione di malcontento, di crisi e conflitto, ha senso andare a ricercarlo insieme, chiarirsi, confrontarsi, mettere le carte in tavola e darsi delle regole. 

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